testi anni 50

I poeti con lo stipendio?

intervento alla “Rassegna della fotografia italiana”, Biblioteca Civica di Sesto San Giovanni, 4-18 ottobre 1959

L’iniziativa che offre la ragione per uno scritto come que­sto – sulla condizione della fotografia professionale in Italia, e sulla «disponibilità» ad essa dei fotoamatori – è il frutto più concreto di tutta una vasta tendenza critica operante da almeno cinque anni. Essa non si è stancata di proporre con ostinazione confronti tecnici ed estetici tra la produzione fotografica professionale, italiana ed estera, ed il lavoro degli amatori, espresso dalle riviste specializzate e dai ludi salonistici. Tale sforzo della critica – e la critica nostra è esigua, un po’ ermetica, a volte pettegola – sembrava nascere da due circostanze: da una ammirazione «figurativa» per il prodotto professionale straniero, in ispecie il reportage giornalistico ed il foto­libro, e dal convincimento che tale alto livello si conseguisse solo attraverso la dignità economica ed il pieno riconoscimento dell’autonomia creativa da parte dell’autore. Veloci e visibili giunsero le conseguenze. Ora i fotoamatori sognano nei clubs sui magazines americani, o sui mensili patinati svizzeri e francesi: la loro ammirazione per le opere splendide che li illustrano si lega ogni giorno più amaramente a favolose dicerie sugli stipendi, ed alla noia per la nostra condizione di «provincia». Crisi morali, che io riterrei importantissime, stanno scuotendo un po’ tutti coloro – specie fra i giovani – che avevano sperato di operare con tranquillità la scissione fra la routine feriale ed i sacri weekends estetici. I più intelligenti, assimilata una certa concezione con abilità e minuzia, adeguano il loro linguaggio a quello dei modelli che prediligono: le mostre dilettantistiche cominciano finalmente ad essere disertate, ed i plichi con le copie assumono gli indirizzi di settimanali a rotocalco, o case editrici. L’esigenza, che vorremmo meditata proprio in occasione della rassegna di Sesto, è ora abbastanza drammatica. Adeguarsi con integrità e coerenza ad una nuova produzione fotografica, inserendola nel suo naturale circuito di utilizzazione… Farsi pagare le fotografie, farle dietro ordinazione, accettarne una critica extra-estetica: diventare fotografi professionisti. Naturalmente, una mutazione tanto impegnativa investe problemi individuali e famigliari che tutti noi – vivendo in Italia e conoscendone le enormi difficoltà sociali – non fatichiamo ad immaginare. La lettera di dimissioni da una calda scrivania di assicurazione, gli attrezzi da laboratorio a rate, la moglie scontenta, non sono che gli aspetti più epidermici… Così di fronte ad amatori passati con eroica risolutezza al professionismo, e di fronte ad amatori che spengono invece entro di sé una vocazione ormai… pericolosa, stanno un buon numero di amatori esitanti. «Servizi» saltuari, foto isolate vendute ai giornali « di costume » – qualche collaborazione, ahimè, contemporanea al Mondo e al Borghese – esperimenti grafici destinati alla pubblicità. L’atmosfera FIAF non è più tollerabile, naturalmente, e si esercita il loro sarcasmo contro chi si ostina a collezionare entry-forms ed ammassi di vermeille. Tuttavia, a ben osservare, i loro dubbi hanno marca intellettuale, e il dilemma che sta loro di fronte non è mai riducibile al fatto meccanico di un «mestiere»: essi possiedono personalità umane di buona profondità, e con buona profondità cercano di esprimere idee e sentimenti nelle fotografie. (Il visitatore della rassegna di Sesto, che li conosce, non faticherà ad accordarmi un po’ di ragione, a questo proposito). Temono essi il salto in un mondo di rapporti a loro ignoti: il fondo aristocratico dei loro cuori sembra rifuggire dal piccolo cannibalismo che ovviamente dilania la fotografia professionale. Ma di che cosa, appunto, essa è fatta in Italia? O, in altri termini, che prospettive ideali e concrete può oggi offrire a chi vi si accosti con «vocazione»? La situazione è naturalmente fluida. In ogni settore specifico è ignota, appunto, la specializzazione; i fotografi sono costretti a dedicarsi a tre, cinque «generi» diversi, ed è ovunque presente il conflitto «politico» fra l’esecutore del lavoro fotografico e il committente. Esistono senz’altro operatori di grande valore (e anche qui gioverà la visita alla Rassegna) specialmente tra quelli dotati di più lunga esperienza: i fotoreporters sulla breccia dai tempi eroici della nascita del rotocalco, i fotografi di moda che in questo settore hanno vissuto il boom industriale italiano, i grafici che servono la pubblicità aziendale più massiccia e dispendiosa. Ma dure e quotidiane sono le loro battaglie, con redattori ed impaginatori privi di cultura visiva e con industriali talvolta senza gusto né fantasia. Si aggiunga la generale situazione di disagio economico di ogni professione a livello «artigianale» in Italia: la scarsa forza organizzativa degli studi fotografici, determina spesso un rapporto «di necessità» col cliente, e quindi basse retribuzioni. Il circolo si chiude, dunque, sull’immagine del fotografo italiano che è sostanzialmente un subalterno: a maggior ragione diventa per lui ardua la difesa del diritto d’autore, della libertà espressiva, del gusto personale. Direi però che i tempi stanno lentamente mutandosi, e che la conoscenza e l’esempio dei paesi europei meglio evoluti (Germania, Francia) e dell’America contribuiscono a dare dignità sempre maggiore alla figura del fotografo: i rotocalchi firmano i servizi, il fotografo di scena appare al cinema nei titoli di testa, timidamente si sfornano i primi fotolibri, ad opera di coraggiosi editori. Il livello qualitativo delle immagini si innalza, e si profilano le figure nuove del redattore fotografico o dell’esperto di fotografia. Se però la forza stessa degli eventi favorisce una evoluzione naturale, nei rapporti tra fotografi ed utilizzatori delle immagini, è ancora buio il settore che concerne la preparazione professionale dei fotografi, cioè la loro abilitazione ad un mestiere che vede aumentare di continuo le proprie difficoltà tecniche: assenti o quasi le scuole modernamente attrezzate, rare le pubblicazioni di istruzione tecnica, del tutto mancanti quelle di istruzione «estetica». Non esiste d’altronde neppure un Annuario della fotografia italiana, né esiste un’associazione di fotografi giornalisti o di fotografi pubblicitari che superi il limite sindacalistico, e corporativo.
A chi si affaccia offriamo allora solo qualche lagrima? Il discorso qui si fa più personale e sottile. È fuor di dubbio che la purezza delle ambizioni fotografiche diventerà un po’ opaca, al vaglio della verifica professionale: ma è altrettanto sicuro che una evoluzione ulteriore rispetto al momento attuale potrà verificarsi solo con l’apporto di personalità culturalmente e socialmente impegnate, possibilmente in clima di rinnovato entusiasmo. Per ciò che riguarda talune personali constatazioni, direi che tra gli amatori «esitanti» potrebbero star celati molti bravissimi professionisti. E a parte le fortune personali – sempre legate a virtù di iniziativa non pronosticabili – credo che potrà senz’altro giovare, una partizione definitiva, al progresso della fotografia con ambizioni artistiche. Immersi nella corrente non dolce della professione, i poeti finalmente con lo stipendio, adegueranno il bagaglio estetico alla funzionalità delle esigenze specifiche, nella stampa, nell’editoria, nella moda ecc.; gli amatori, senza malinconiche inibizioni, si dedicheranno a rinforzare la loro produzione sul piano «teorico» (anche qui, critiche e speranze: ma è un altro discorso). Ci sarà magari un neo-salonismo, puro e simpatico, e sarà il riscatto dall’odierna accademia amatoriale; chissà.

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