testi anni 70
in “La più bella sei tu. Fotografie di Federico Patellani”, Editrice Magma, Milano 1979
Le pagine di questo fotolibro non si potranno sfogliare senza una precauzione: tenere a mente, rivedere, capire, il fenomeno della stampa settimanale di attualità, prodotta in Italia col sistema tipico del rotocalco, dal secondo dopoguerra agli anni 60. Tra Tempo e Epoca, Settimo Giorno e Oggi, II Mondo e L’Europeo corrono grandi differenze: ma in tutte le filosofie redazionali sono presenti due costanti. Il desiderio di mostrare con la fotografia gli aspetti della vita sociale (privilegiata e rappresentativa) ancora ignota ai lettori… e contemporaneamente la sottomissione dell’immagine, rispetto alla vera interpretazione letteraria, articolo o didascalia.
In sostanza i redattori ‘di penna’ (Arrigo Benedetti o Pietro Bianchi, Salvato Cappelli o Enzo Biagi) tentarono dì ispirarsi a Life nel metodo della picture-story senza avere al proprio fianco veri narratori per immagini, e comunque ingabbiarono il prodotto visivo, anche valido, entro la visione ‘elzeviristica’ che resta quella effettiva e costante di tutto il giornalismo italiano.
Quando arriva la televisione, col suo fluire di immagini in movimento, pur censurate, il loro dato quantitativo — e l’impossibilità materiale di commentare tutto con sussiego — fa perdere l’interesse dei fotoromanzi di attualità. I lettori capiscono, o intuiscono, che l’operatore dei telegiornali e dei ‘rotocalchi’ televisivi li introduce meglio nella realtà. Vede altro e più, sente talvolta i suoni in sincro. Finisce col sedersi solo davanti al video, e col chiedere ai settimanali più fatti, senza illustrazioni e senza edulcorazioni letterarie. La TV — le TV — diventano i nuovi rotocalchi, con miliardi di illustrazioni, mentre a nuove masse selezionate ancora ansiose di testi vengono proposti i tabloid, come Panorama e L’Espresso.
Torniamo ora al ruolo del fotografo anni 50 nella produzione delle immagini per il ‘servizio’. E’ il caso di Federico Patellani, aristocratico, colto, amaro nel tratto; un’eccezione, tutto sommato, nella giungla di agenzie, freelances da agguato, macchiette felliniane, che assediano le anticamere delle redazioni. Patellani ha esperienze di pittura e cinema; conosce politici, mondanità, intellettuali. Eppure anche a lui, anzi proprio a lui con maggior rispetto, viene chiesto di mettere la sua camera al servizio di una enorme operazione-fantasia. I lettori italiani — il paese è una sterminata provincia ferita dalla guerra e tenuta nel buio culturale per vent’anni — chiedono verità e naturalezza. Mentre il cinema neorealista risponde con coraggio (prima di essere messo fuori gioco) i rotocalchi offrono subito mezze verità e falsa naturalezza. La famiglia italiana deve piangere su Umberto in esilio, ridere con Totò, applaudire Bartali, deglutire per Miss Italia o Silvana Pampanini. Il mondo dello spettacolo, le ribalte mondane o sportive sono una specie di nuovo ‘regime’ visivo che esce a fiumi dalle edicole, e invade i salotti di tutte le case. Alle famiglie italiane si tende a prospettare un microcosmo di personaggi lontani dall’esperienza quotidiana, e anzi mitica alternativa rispetto al grigiore e alle paure della nuova guerra fredda, del carovita, della disoccupazione. Ed ecco che qui si inserisce il ruolo, e la responsabilità di Pat, dei produttori di immagini come lui, chiamati a visualizzare ciò che non faceva storia, che in certo senso andava contro la storia. Non ho vissuto direttamente le vicende della fotografia giornalistica negli anni 50, ma ho cercato successivamente di stabilire delle testimonianze-chiave: Pat in sostanza era cosciente dell’infima qualità culturale dei modelli proposti (anche se non della loro ‘ideologia’) e le ragioni concrete della sua sopravvivenza professionale si scontravano ogni giorno con la sensibilità critica, e autocritica, che egli sentiva come un prolungamento della sua educazione.
Nella lunga sequenza di foto che è l’oggetto della nostra attenzione, viene proposto un mondo di valori stravolti, che l’evoluzione civile della nostra società ha ora in parte superato, soprattutto con una nuova dignità femminile e con una più scettica valutazione dello star system nazionale. Ebbene, la misura di questo processo risulta elevata proprio in quanto talenti come Pat hanno conservato allora un ampio margine critico al proprio lavoro, non identificandosi nella mistificazione. Nelle intenzioni ‘ironiche’ iniziali di Patellani, come oggi capiamo indagando il suo archivio, è recuperabile una vera controinformazione, indipendente dall’effettivo impiego originario delle immagini.
I lettori di ieri, le donne di ieri: questo passato sembra più lontano di quanto non sia. La mescolanza di propositi pubblicitari, rassicurazione sociale, ‘clima USA’, perbenismo e repressione sessuale è evidente nei capitoli dedicati a Miss Italia. Gli schemi fisici — seni, bocca, capelli, gli smarrimenti dietro il sorriso ‘imbronciato’ — appaiono remoti, un paese arretrato messo in passerella e costretto ad emettere note spezzate. Pat sta sotto la passerella ma volta spesso l’obiettivo. (Nel dopoguerra viaggia nel Sud e ne documenta impeccabilmente la mutazione materiale e sociale.) Anche qui coglie, o lascia in evidenza, i particolari significanti. Folle in camicia sullo sfondo, che assediano miss e attrici; agghiaccianti interni piccolo borghesi per le ragazze da lanciare; scarpette sulla spiaggia; valigioni con l’occorrente per il trucco delle star; poltrone, maggiordomi e cameriere nelle case dei produttori.
Così i lettori di oggi — le donne di oggi! — recuperano e confrontano una serie di dati antropologici e ambientali, che sono il costume e in estrema analisi la storia. L’ultimo capitolo (che vorremmo intitolare ‘Homo sapiens’) sui registi, e il penultimo sulle accoppiate ‘bella più cervellone’ comprendono in certo senso delle fotografie politiche. Il primato intellettuale maschile è proposto e rovesciato nella sua retorica. Dopo aver palpato e ammiccato, dopo aver deciso, la più bella sei tu, eccoli a tavolino che pensano, o gesticolano tra loro, affermano, assemblano, creano. Ti ho scoperto, ti ho lanciato, lasciami lavorare: ci vediamo dopo.
Qui in verità sull’operazione-ironia di Patellani, che pure era evidente, si è innestata l’operazione di riscatto ‘femminile’ condotta da Tamara Molinari assieme a Kitty Bolognesi e Giovanna Calvenzi. Queste due, amiche e per lunghi anni assistenti di Pat, ne curano oggi l’archivio (settecentomila negativi e diapositive). La loro capacità critica si intreccia tutt’ora con la stima per l’uomo di cultura di cui conobbero dilemmi, generosità creativa, scatti di amarezza (“E’ la seconda volta che la cameriera della Lollo dice coprendo il telefono: signora è il fotografo. Come l’idraulico, o l’esattore!”). Il loro compito oggi è immane, ma delicato proprio sul piano ideologico. Lavorando sui provini, accostando fotogrammi di servizi diversi, è possibile dare angolazioni diversissime a immagini che contano ormai decenni, di cui si è persa l’effettiva ragione di committenza. E proprio perché Pat, in verità, non ha mai dato grande importanza ai suoi servizi sulle miss e le attrici, noi oggi sentiamo di ribadire la legittimità della riproposta.
Il lavoro di Federico Patellani, i servizi completi e l’immenso archivio di immagini che oggi rimangono, si presentano — pur nell’ambito di una linea creativa ‘personale’ — come un complesso di tipo aperto. A fianco delle intenzioni di Pat, e accanto ai visibili condizionamenti, tipici della stagione contraddittoria in cui visse, agisce silenziosamente il tempo, che aggiunge valori, e agisce la sensibilità selettiva di chi ricerca, porta allo scoperto, ripropone.
Sottolineando questa complessità dell’inquadramento critico — in futuro saranno possibili sempre più disinvolte contraffazioni — noi non riteniamo tuttavia dì ridurre la statura dell’autore; ci sembra al contrario di aggiungere accanto ai meriti figurativi delle sue riprese, un merito più nascosto e rischioso, quello della lungimiranza.
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