testi anni 90

Fotografie di Virgilio Carnisio

in “Milano Dentro. Gli anni 60-70 a Milano. Fotografie di Virgilio Carnisio”, Edizioni Gruppo Immagine, Milano 1999 

 

L’uomo dei giroscopi. Vendeva anche piccole fotocamere 3×4 dotate di autoscatto. Oreste, un mio compagno al Liceo Beccaria, ne aveva messa una in bilico su un palo delle gondole, a Venezia, aprile ’54, ed era corso a mettersi in mezzo al gruppo. La piccola camera oscillò ronzando, ed al momento dello scatto cadde nel canale. I soggetti rimasero un lungo attimo fermi, in posa, senza capire. Oreste balzò quindi in avanti, insensatamente. E cercò con lo sguardo sgomento, nell’acqua.

 

Nella vecchia tipografia c’era come sempre un magazzino dei cliché, le pesanti matrici di zinco, poi sconfitte negli anni ’60 dall’affermarsi della stampa offset. Il retino del cliché, osservato in luce radente, permetteva di riconoscere l’immagine, destinata all’impressione tipografica sui fogli. Quel pomeriggio l’apprendista in ginocchio tentava di aprire un pesante cassetto pieno di cliché, bloccato a livello del pavimento. Un maturo compositore, sopra di lui, si divertiva a graffiargli la nuca col bordo tagliente di una lastra. E infieriva. Non devi dire più: le puttane. Si dice: le sacerdotesse dell’amore.


In macelleria, lessico desueto. Geretto, rognoncino, biancostato, biffi (per roast-beef) coratella, filone, polpa famiglia extra, arrosto di codino extra, vitello della coscia extra, macinato extra. Dialogo dopo Cernobyl, uscendo col pacchetto di spezzatino. Prima diceva: polli nostrani, conigli nostrani, vitelli nostrani. Tutto ruspante, prima. Senta ma adesso con questa storia della nuvola radioattiva, non ci sarà mica pericolo con le bestie ruspanti? Signora, mi fa, queste un prato non l’hanno mai visto. Tranquilla. Allevamenti sicuri, sempre al coperto, mangimi industriali, glielo garantisco.


Dal barbiere di piazza S.Alessandro. Affiorano dalla schiuma i frammenti di sociologia urbana (stavolta siamo alla fine degli anni ’60). Il femminismo, cosa vuoi che ti dica. Fatto sta che lei ha voluto portarselo a casa, il valoroso combattente angolano. Contro il parere del marito, il Walter, che non si fidava. Poi lei si è innamorata dell’africano (non proprio nero, un meticcio) e convivevano in tre. Troppo buono. Lui veniva sempre qui a sfogarsi. Diceva: la casa è piccola, loro dormono insieme e io – sono ancora il marito, eh – devo dormire in cucina. L’ultima è di ieri notte. Viene a bere, accende la luce, mi sveglio, mi incazzo. Ho ragione o no? Lui mi fa, du bermaloso come scimia.

 

I negozi di accessori per calzature erano tra i miei preferiti. Esponevano scarpe mostruosamente modellate (per alleviare calli o malformazioni), grasso per gli scarponi, suole Vibram con le prestigiose crocette scolpite. Dialogo di una antica coppia. Te lo giuro: nell’hotel di Assisi abbiamo preso una scatola gigante di lucido nero e di notte abbiamo spalmato all’interno le maniglie di tutte le stanze del gruppo. Altri spremevano tubi di dentifricio dentro le scarpe lasciate in corridoio. Chiedilo a Camilla, se non ci credi. Lei c’era.


Tra il ’50 e il ’55 si diceva, chissà perché, che il Venezia mancasse di gioco di squadra. A Milano, i ragazzi che giocavano senza mai passare la palla, erano chiamati Venezia, veneziani, fasso tuto mi. Sui campetti dell’Ortica e del Lorenteggio si udiva: dai, non fare il Venezia. I ragazzi più ricchi avevano le scarpe da calcio coi tacchetti, i poveri inchiodavano dei tacchetti “professional” alle loro scarpe più consunte. Giorgio, che sarebbe diventato un famoso geologo, sosteneva che le sue scarpe da calcio avevano il potere, d’estate, di ripulire i piedi sporchissimi che lui ci infilava. Per fare una squadra si dovevano attuare complesse strategie politiche. Accolti: il padrone del pallone, il compagno che ci avrebbe aiutato nella versione di greco, il piccolo portiere kamikaze che osava tuffarsi sul duro terriccio irto di cacche e sassi, il mediano senza qualità atletiche che imitando Nicolò Carosio riusciva a fare – in diretta, correndo – la radiocronaca della nostra partita.

(A Virgilio, alle sue immagini milanesi, dietro cui stanno le nostre storie. Le nostre piccole vite.)

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